Come puoi stabilire i confini del tuo racconto online?

Se usi i social network per lavoro, una delle tecniche di cui ti avvali per fare personal branding è lo storytelling. Ma quanto devi raccontare di te e della tua vita? Quanto bisogna scendere nei dettagli per suscitare in chi ti legge la tanto agognata empatia che fa scattare una connessione tra te e il tuo pubblico? Risposta breve: dipende da te. Ok, forse è una risposta troppo vaga ma segna un punto di partenza: l’unità di misura per determinare cosa e quanto raccontare sei tu.

L’importanza dei confini

Avere un personal brand non implica raccontare la tua vita minuto per minuto. A monte va fatta una scelta, stabilire confini che siano chiari per il tuo pubblico e la tua community e che ti facciano stare comoda. Il bello dei confini è che sono modellabili, si adattano a noi e al modo in cui cambiamo. Definire a priori gli argomenti che saranno oggetto del nostro racconto online ci serve ad avere una direzione, delle linee guida e a non farci prendere dall’emotività. I confini solo adattabili anche al mezzo che utilizziamo. Io, ad esempio, nella newsletter, che è un canale preferenziale con le mie potenziali clienti, racconto dubbi o difficoltà che ho attraversato, cosa che difficilmente faccio quando mi racconto su Instagram. Scegliere cosa dire e cosa non dire è un atto di comunicazione consapevole. Anche il silenzio comunica. Possiamo scegliere di tacere su un argomento di cui parla tutto il mondo perché non riteniamo opportuno dover aggiungere il nostro pensiero al rumore di fondo. Sono scelte soggettive, non sono né giuste né sbagliate. Se abbiamo ben chiari i confini del nostro storytelling, possiamo prendere delle decisioni a cuore più leggero.

La spinosa questione dell’autenticità online

I social network possono essere dei luoghi virtuali davvero tossici. Amplificano la nostra tendenza a paragonarci agli altri e a spiarne le vite. Quanta finta perfezione e quanta imperfezione creata ad hoc si trovano nelle piazze di paese dei social! Questo vuol dire che un racconto autentico è impossibile? Dipende da cosa intendiamo per autentico. Se intendiamo l’aggettivo come sinonimo di spontaneo o naturale, la risposta è no: tutto sui social è costruito e programmato. E non potrebbe essere diversamente, altrimenti non potremmo organizzare il nostro lavoro. Ma se per autentico ci riferiamo a un racconto coerente con noi e, in tal senso, genuino, verosimile, non solo possiamo portare online il nostro racconto autentico ma dovremmo puntare su quel tipo di “autenticità” per nutrire il nostro personal brand. Un tassello alla volta, storia dopo storia, costruiamo un puzzle che ci racconta, dalla doppia prospettiva personale e umana, mantenendo sempre quel confine netto tra personale e privato.

Personale non vuol dire privato

Quando parliamo di personal brand e personal storytelling, l’aggettivo personal si riferisce a te, al fatto che il tuo brand rispecchia la tua persona. Ma in un contesto più ampio l’aggettivo personale indica tutte le esperienze che accomunano gli esseri umani. Quando qualcosa è personale, di certo riguarda te, racconta un episodio che hai vissuto in prima persona e che ti ha trasmesso un insegnamento, ti ha portato a una riflessione, ti ha fatto cambiare prospettiva. Allo stesso tempo, quell’esperienza che hai vissuto ti avvicina a chi legge la tua storia, risuona con lei o lui. Perché non è importante l’evento, in sé, ma il cambiamento che quell’evento ti ha fatto compiere. In quella trasformazione può riconoscersi chiunque abbia compiuto quel tipo di arco trasformativo, anche se non è passato esattamente attraverso la tua esperienza personale. Per questo motivo i racconti di personal storytelling che hanno l’obiettivo di rafforzare il personal brand hanno un grande impatto, quando non sono autoreferenziali.

Privato è qualcosa che appartiene solo a te, ha carattere confidenziale, ha a che vedere con la sfera della tua interiorità e comprende persone e temi che consideri intimi, inviolabili. Ciascuno stabilisce ciò che ritiene privato. Per avere un’idea, prova a immaginare la sensazione che proveresti se un estraneo leggesse il diario che custodisci al sicuro o venisse a conoscenza del tuo più grande segreto. Probabilmente ti sentiresti scoperta e a disagio. Ecco, puoi considerare privati tutti gli argomenti che potrebbero provocarti quella sensazione. Custodire la tua intimità, tenere il tuo privato ben separato dalla vita social è un requisito indispensabile per la salute mentale.

Non è necessario raccontare i fatti tuoi online

Sto per dire qualcosa che va contro i miei interessi, visto che mi occupo, tra l’altro, di storytelling. Non è necessario usare la tecnica dello storytelling per rafforzare il tuo personal brand. Certo, lo storytelling è uno strumento potentissimo, quando ha un obiettivo preciso. Ma, se ti forzi a usarlo, rischi di risultare poco credibile, poco “autentica”. E questo, anziché aiutarti, ti nuocerebbe. Ci sono brand ma anche freelance che hanno improntato la loro strategia di comunicazione solo sulle loro competenze e sui problemi che i loro prodotti o servizi risolvono. Se vuoi seguire anche tu questa strada, ti propongo un compromesso: scegli degli argomenti di personal branding non troppo “personal” che ti facciano sentire a tuo agio quando ne parli e che ti aiutino a entrare in relazione con la tua audience. Ti invito a farlo perché sono finiti i tempi in cui si poteva vendere a suon di “accatatevillo!”. Oggi le persone vogliono conoscere i brand, la loro storia, i loro valori. Non si accontentano di conoscere i vantaggi di un’offerta.

Se non sei pronta a mostrare, anche un minimo, quello che c’è dietro il tuo brand, la tua comunicazione rischia davvero di essere piatta e di mancare di quell’elemento personale — guarda caso — che ti rende umana agli occhi delle tue potenziali clienti. Scegli, piuttosto, dei temi generici. Per esempio:

  • Quali sono le tue passioni, online e offline? Ti piace leggere, cucinare, ballare il tango, progettare nei dettagli la prossima vacanza?
  • Qual è la tua formazione, come sei arrivata a fare quello che fai? Non il curriculum, per carità, ma i vari step, i corsi che hai frequentato, le difficoltà che hai incontrato e, soprattutto, come le hai superate.
  • Dove trai ispirazione, come nutri la tua creatività? Senza scendere troppo nello specifico, puoi parlare del tuo metodo di lavoro e di che tipo di professionista — e persona — sei.

Sono certa che saprai trovare dei temi che possano avvicinarti al tuo pubblico. E poi c’è sempre la questione dei confini: il fatto che siano adattabili vuol dire che magari ciò che oggi ritieni privato domani può diventare personale e che, quindi, tu abbia voglia di raccontarlo online. La tua bussola può essere la domanda: “mi fa sentire a mio agio?”.

Se hai bisogno di una mano, ti ricordo che la mia consulenza Tra le righe è a tua disposizione per chiarire svariati argomenti di scrittura e comunicazione, compresi i confini. Pensaci, ti aspetto!
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