Scrittura autobiografica per leggersi e raccontarsi è il payoff che ho scelto per la mia attività e che racchiude il mio approccio alla scrittura per il web: la nostra storia personale è uno strumento potentissimo per leggerci — e quindi conoscerci — e raccontarci — e quindi farci conoscere. Mi rendo conto, però, che è un concetto che va spiegato. In genere si associa la scrittura autobiografica al romanzo autobiografico, cosa di cui io non mi occupo nemmeno per sbaglio, oppure alla scrittura introspettiva e intima, un ambito del tutto separato dalla narrazione del proprio lavoro. Voglio spiegarti perché dal mio punto di vista dovresti proprio innamorarti della scrittura autobiografica e imparare ad applicarla al brand storytelling.
Che cos’è il brand storytelling
Il brand storytelling è la capacità di usare la narrazione emozionale per veicolare i valori del brand e creare una connessione emotiva tra il brand e il suo pubblico. Se sei una freelance o una solopreneur, il tuo brand e la tua persona si sovrappongono. Raccontare la storia del tuo brand, trasmetterne i valori, significa raccontare la tua storia, ciò in cui credi, le tue peculiarità, i tratti distintivi che portano la tua potenziale clientela a sceglierti. In questo caso, siccome il limite tra la persona e la professionista è molto sottile, può essere facile inciampare in una narrazione un po’ troppo ego-centrata e perdere di vista l’obiettivo stesso dello storytelling. Creare un legame con il proprio target ha, infatti, sempre l’obiettivo collaterale di trasformare il pubblico in clienti. Detto terra terra: se la tua potenziale cliente si identifica con il tuo mondo, tu occuperai un posto specifico nel suo immaginario e, alla prima occasione utile, lei sarà portata naturalmente ad acquistare i tuoi prodotti o servizi.
Di cosa parliamo quando parliamo di scrittura autobiografica
Facciamo un breve – brevissimo, prometto! – excursus su che cos’è la scrittura autobiografica. Autobiografia è un’espressione che si riferisce in narrativa a un genere letterario che ha come oggetto la vita, vera o romanzata, dell’autore o dell’autrice. Nell’autobiografia convergono una serie di sotto-generi che hanno delle caratteristiche molto precise. Mi riferisco, per esempio, al romanzo autobiografico, al memoir o all’autofiction. Per come la vedo io, limitare la scrittura autobiografica all’ambito narrativo ne sminuisce la portata. Se l’autobiografia è il racconto (grapéin) del proprio (autòs) vissuto (bìos), ne consegue che ogni volta che scriviamo di noi stiamo facendo scrittura autobiografica. Un post sui social, un messaggio WhatsApp a un’amica, un’email personale, persino la lista della spesa sono, a parer mio, contenuti di scrittura autobiografica.
“All autobiography is storytelling, all writing is autobiography” (J.M. Coetzee)
Siamo fatte di storie e le nostre storie sono tutte, in partenza, autobiografiche. Possiamo raccontare solo ciò che conosciamo, anche se Salgari tratteggiò la sua visione della Malesia chiuso nel suo studiolo di corso Casale a Torino, senza mai lasciare il suolo sabaudo. Eccezioni illustri a parte, abbiamo bisogno di affondare le nostre storie nello spessore di tutto ciò che confluisce nell’esperienza, dalle emozioni alle sensazioni fisiche. Quando, dall’ambito privato, portiamo la nostra storia nel mondo, sotto forma di brand storytelling, dobbiamo applicare un filtro e mettere una distanza tra noi e la nostra autobiografia. Per due motivi:
- Per renderla fiction. Solo così possiamo creare un distacco emotivo tra noi e la nostra storia, maneggiare i ricordi e organizzarli in una narrazione che abbia un senso compiuto.
- Per renderla utile agli altri, assurgerla a narrazione universale e condivisibile da più persone. Ecco che l’esperienza soggettiva – autobiografica – si fa storytelling.
A cosa serve la scrittura autobiografica
Praticare la scrittura autobiografica, che sia sotto forma di journal, di blog personale, di promemoria lasciati su post-it colorati, aiuta ad andare a fondo nel proprio racconto, a puntare la luce sulle zone che di solito restano in ombra, non perché siano oscure di per sé, ma solo perché sono più nascoste. La scrittura autobiografica ci porta a sfruculiare parti di noi scoperte e vulnerabili, non con l’intento di tormentare vecchie ferite ma alla ricerca di uno sguardo nuovo. Il tempo è un filtro naturale che ci consente di guardare dal di fuori gli avvenimenti della nostra esistenza. Nella memoria, nel passato ci sono tutti i nuclei della nostra narrazione presente. Da lì possiamo attingere una serie di elementi che possiamo portare nel nostro racconto di brand: quello che abbiamo imparato, le trasformazioni che ci hanno visto protagoniste, le pietre miliari della nostra formazione come persone, prima ancora che come professioniste. La scrittura autobiografica è una scrittura sommersa, che deve restare privata. Quando facciamo brand storytelling, approfondire la scrittura autobiografica non ci serve a raccontare i fatti nostri ma a conoscerci meglio.
Dalla scrittura autobiografica allo storytelling
Quando raccontiamo la nostra storia professionale, seguiamo lo stesso processo che seguiremmo per scrivere un diario o un libro di memorie: partiamo dalla nostra verità. Creiamo le nostre convinzioni, e dunque riconosciamo ciò che per noi è vero, in base alle nostre esperienze, ciascuna delle quali aggiunge un tassello in un quadro che potremmo intitolare “quello che so sulla vita”. Ciò che rende diverso un racconto intimo da un racconto pubblico e da un racconto professionale è: l’obiettivo della narrazione, l’organizzazione delle informazioni, l’arco narrativo. In una parola, lo storytelling.
Scrittura autobiografica e consapevolezza
Il brand storytelling è una narrazione la cui parola chiave è brand. Se non siamo consapevoli di chi siamo, il nostro racconto non sarà mai autentico. Uso questo termine un po’ inflazionato nell’accezione di verosimile. Una delle componenti principali dell’autenticità è la consapevolezza. Conoscerci significa comprendere meglio i nostri meccanismi, le dinamiche da evitare, le situazioni che funzionano da inneschi. Significa individuare punti di forza e vulnerabilità, dare valore ai nostri tratti caratteriali, sapere ciò che ci accende e che ci toglie energia, ciò che possiamo e vogliamo dare e ciò che deve restare solo nostro. Conoscerci significa anche proteggerci, tracciare una linea netta tra personale e privato e renderla inviolabile. In apparenza tutto questo ha poco a che fare con il brand storytelling. Mi prendo la responsabilità di affermare che la scrittura autobiografica ci prepara ad affrontare l’esposizione mediatica, ci consente di delimitare i confini del nostro racconto e di tutelare le nostre zone private.
Il brand storytelling mette al centro la cliente ideale
In quanto freelance o solopreneur crediamo che il brand storytelling riguardi soltanto la nostra storia. Ma un racconto di brand non è mai autoreferenziale. Le protagoniste del nostro brand sono le nostre clienti. Tutta la narrazione di brand ruota intorno a come vogliamo far sentire il nostro target, in che modo possiamo risolvere un problema o realizzare un desiderio della nostra buyer persona. Dobbiamo conoscere molto bene la nostra cliente ideale per sapere quali sono i punti di contatto con lei. La scrittura autobiografica ci aiuta anche in questo. Nel momento in cui acquisiamo consapevolezza di noi, di riflesso sappiamo anche in che modo possiamo essere utili all’altro, definire meglio a quale nicchia ci rivolgiamo. Non solo. Spesso noi siamo il livello avanzato della versione base rappresentata dalla nostra cliente ideale. Siamo state lei in una fase embrionale, prima dell’arco trasformativo che ci ha reso le professioniste che siamo oggi. Ecco perché, ripercorrendo la nostra storia personale, siamo in grado di sentire quello che sente lei, sapere quali sono le difficoltà che incontra tutti i giorni, i dubbi che non la fanno dormire la notte. Lo storytelling è un canale biunivoco: permette alla nostra potenziale cliente di immedesimarsi nella nostra storia e a noi di calarci nei panni della nostra potenziale cliente.