Lettera a Mortifera

Mortifera è il mio darkside. Con lei ho iniziato un dialogo un po’ scanzonato, che mi ha permesso di conoscerla e di entrare in connessione con una parte importante di me. Mortifera è una ragazza poco più che adolescente, che ha uno sguardo disincantato sulla vita e un ego smisurato. Si esprime con espressioni colorite, attingendo talvolta al dialetto napoletano.

Qualche tempo fa ho scritto una lettera alla cara Morty. All’inizio volevo chiederle di lasciarmi in pace, poi la situazione è precipitata — o migliorata, dipende dai punti di vista. E così le ho comunicato una verità che era sempre stata lì e di cui non ero consapevole. La mia lettera a Mortifera ha cambiato in modo significativo il mio rapporto con lei.

DISCLAIMER: il linguaggio di questo post potrebbe urtare la tua sensibilità perché a tratti è un po’ sboccato. Ma si sa, al darkside non si comanda.

***

Cara Morty, (no, non va)

Morty cara, (bleah, che schifo! Se mi blocco sull’incipit, che speranze posso avere di arrivare alla conclusione? PROMEMORIA A ME STESSA: pensa pensa pensa pensa pensa)

Morty, (short and sweet e tagliamo la testa al toro. Tanto elucubrare per arrivare a questa soluzione. Del resto, la cosa migliore è “non moltiplicare gli elementi più del necessario”, mutuando la formula del rasoio di Occam. A qualcosa è servito guardare tutte le stagioni di The Big Bang Theory. Ma, come al solito, sto divagando)

Morty,

Ti scrivo perché mi viene più facile che parlarti. ( E che profondità! Che originalità! Sì ma non è che posso arenarmi su ogni frase, sennò finisco domani. PROMEMORIA A ME STESSA: sospendi il giudizio e scrivi!)

Ci conosciamo da molti anni; tuttavia, non credo che tu mi conosca davvero. È come se per te io fossi un cliché, come se l’idea che hai di me fosse fissa, cristallizzata, granitica. Eppure, in quanto essere umano, sono in una condizione di continuo mutamento, apprendo ogni giorno nuove lezioni che mi sforzo di applicare alla mia vita. Non sono più la stessa di vent’anni fa ma per te è come se il tempo si fosse fissato in un…

[Mi fai scendere la guallera da quanto sei pesante!]

— Ma insomma: questa è una lettera! Io scrivo e tu — dopo — leggi. E semmai mi rispondi. In via epistolare, possibilmente. Non è previsto che tu possa intervenire! Quindi: sciò, va’ a farti un giro nel giardino del mio castello interiore e lasciami finire. Grazie.

[Una lettera? E dove sono finiti carta e penna? Sì, va bene, va bene: ti sto provocando. È che scrivere lettere è una cosa antica. È proprio da te. Avresti potuto scrivermi un’email; ma, pensandoci, non sarebbe cambiato molto: sempre una lettera avresti scritto!]

— Per tua informazione, quello epistolare è un genere letterario, forse un po’ in disuso, ma comunque universalmente riconosciuto e praticato. Sì, sono una che scrive lettere e cartoline: che c’è di male? Sarò pure antica, ma me ne infischio.

[“Me ne infischio” l’ha detto l’ultima volta Rhett Butler in Via col vento, per farti capire quaaaanto sei antica. Ma perché scrivermi? Se hai qualcosa da dirmi, parlami, sono qui. Non scappo mica]

— Non è la stessa cosa. Scrivere, indirizzando i propri pensieri a qualcuno in particolare, è un modo riflessivo e intimista di comunicare. E poi, se ti scrivo, non sei (o non dovresti essere!) lì pronta a battibeccare: vuoi mettere? Posso dunque sperare che mi lasci in pace? Così finisco, tu leggi e, se ti va, mi rispondi.

[(Sgrunt!)]

Vorrei che tu mi supportassi, ogni tanto, anziché remarmi sempre contro. Non è semplice cercare di scardinare le mie categorie mentali se ci sei tu che mi riporti sempre a modelli consumati dall’uso, per non dire dall’abuso, basati sul disvalore di me. Qualche volta vorrei potermi concedere l’indulgenza di dirmi che vado bene (anche) così, senza averti sempre lì, col tuo sarcasmo, a dirmi quanto in realtà io faccia schifo.

[No, scusa, io starei anche zitta ma queste sono accuse e non posso proprio lasciar correre. Qui c’è una certa persona che sta facendo un po’ la vittima, o sbaglio? Mai sentito parlare di libero arbitrio? Ma da dove pensi che venga io? Te lo sei mai chiesto? Uffà, che palle: non voglio farti sedute di autocoscienza, quindi scétate, please]

— Vittima, io?!? Ma cosa dici? Hai la rara capacità di farmi incazzare. Ma di brutto proprio. Ci rinuncio: niente più lettere, buoni propositi, approcci positivi e bla bla bla!!!

[La veritàààààà mi fa maaaaale, lo soooooo! Chi era? Caterina Caselli? Se ti incazzi è perché hai la coda di paglia. Dovresti ringraziarmi: ti faccio vedere ciò che non vuoi ammettere a te stessa, squarcio il velo della tua ignoranza. Se solo smettessi di combattermi, potresti trarre grande profitto dalla mia presenza. Ma sei troppo miope per capirlo. Un giorno, vedrai, riuscirai ad apprezzarmi]

— Apprezzarti? Spero, invece, di riuscire ad appestarti con la mia inarrestabile rivoluzione (ed evoluzione) interiore. Mi piacerebbe godermi la scena di te, debole e bitorzoluta, che agonizzi pallida ed emaciata invocando sempre più fiocamente il mio nome… Forse un po’ eccessiva e stereotipata come fantasia però — ti dirò — dà una certa soddisfazione.

[Ahahahahah, che scenario apocalittico! Sembro quasi l’eroina di un romanzo gotico. Sai bene che non esisteresti, che la tua rivoluzione interiore, come la chiami tu, non si innescherebbe senza di me, senza il mio continuo pungolarti, metterti alla prova, zavorrarti con pensieri svalutativi e ansiogeni. Sono parte di te, non puoi estirparmi]

— Uhm, credo di sapere cosa scriverti adesso.

Mortifera mia,

Ti scrivo questa lettera per dirti cose di cui mi risulterebbe difficile parlarti a voce. Nonostante il fatto che discutiamo in continuazione e ci punzecchiamo a vicenda, nonostante i tuoi commenti acidi e quella tua vocina ossessiva e insistente che mi sussurra frasi poco edificanti, nonostante questo e molto altro di te che spesso mi infastidisce, voglio dirti: GRAZIE!

Ti ringrazio, perché affrancarmi dai tuoi giudizi è il motore che mi spinge a fare sempre meglio, che dopo un periodo di depressione mi motiva a rialzarmi e a non arrendermi.

Ti ringrazio, perché rispondere alle tue provocazioni allena la mia autoironia, mi fa riflettere su certe mie rigidità e mi invita a mitigare i miei assolutismi.

Grazie di essere la forza contraria che frantuma la mia autostima perché io possa tornare a ricostruirla, partendo da una base sempre più solida.

Grazie di essere così come sei: non vorrei mai una Mortifera diversa da te.

Con affetto,

g.

P.S. Se mai dovessi servirti di queste parole contro di me, sappi che invocherò la momentanea infermità mentale.

***

Hai mai provato a scrivere una lettera al tuo darkside? Com’è andata? Se ti va, raccontamelo nei commenti oppure all’indirizzo ciao@giovannamartiniello.it. Ti aspetto!

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2 risposte

  1. Questo è un grande esempio di scrittura brillante ed intelligente, è geniale il modo di approcciare quel tipo di riflessione alla quale – dallo stadio dello specchio al doppio-nero nello specchio- ci sottraiamo tutti. Perché agli occhi di chi ci guarda nello specchio- ai nostri- siamo sempre nudi e senza armatura.
    É amazing – non mi viene in mente il corrispettivo in italiano- come un mondo ossessionato in modo così malsano dalla propria immagine non si guardi mai allo specchio per guardarsi bene e capire davvero chi è/ com’è/ che cos’è.
    Aspetto la tua prossima missiva a Morty!
    love,
    Marc

    1. Grazie mille! Il “doppio-nero” puoi affrontarlo, conoscerlo e comprenderne le istanze. Se non passi attraverso l’integrazione ma ti limiti a combatterlo, ci sarà sempre una scissione. O, almeno, questa è la mia esperienza.

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