“Giovanna, lei tende a fare troppa letteratura”. Me lo disse un po’ di anni fa la mia psicologa, quando ero in terapia. E aveva ragione. All’epoca avevo bisogno di romanzare la mia realtà perché non la ritenevo abbastanza interessante, intrigante, attraente. Per renderla degna di attenzione, dovevo movimentarla, infarcirla di colpi di scena e gesti teatrali. Avevo il terrore di vivere un’esistenza piatta, scialba, incolore. Così, mi impegnavo in azioni bizzarre. Qualche esempio? Andavo in giro con il naso da clown solo per suscitare la reazione delle persone per strada. Oppure inviavo pacchi senza mittente a sconosciuti che mi incuriosivano, lasciando come contatto solo un indirizzo email (in un periodo in cui il web era ancora poco usato). Regalavo libri da leggere ai punkabbestia buttati per strada a chiedere l’elemosina, nella speranza di redimerli o, quanto meno, di acculturarli (quanta prosopopea, lo so!). Quando è uscito Il favoloso mondo di Amélie, mi sono riconosciuta: io sono sempre stata Amélie senza saperlo.
Per vedere la bellezza della normalità bisogna allenare lo sguardo
Proprio come Amélie, volevo vivere una vita fatta di superlativi, volevo che tutto ciò che mi capitava fosse sempre speciale, stra-ordinario. La normalità mi sembrava il male peggiore che potesse colpirmi. Ero convinta che solo le storie sensazionali meritassero di essere raccontate, di essere vissute. Ma cos’è la normalità? Quand’è che una vita si può definire piena? Illudendomi di rendere interessante la mia vita, mi muovevo in una dimensione falsata, artificiosa. Facevo letteratura, e anche di bassa qualità. Non ero in grado di scovare nelle vite delle persone “normali” la bellezza che le abitava. E non sapevo che questa mia incapacità era un grosso limite. Ho imparato con l’esperienza a cambiare il mio sguardo. È una questione di allenamento e prospettive: focalizzarsi sui dettagli senza perdere di vista il quadro generale. Quando proiettiamo lo sguardo sempre in avanti, oltre l’orizzonte, non riusciamo a vedere quello che ci capita sotto il naso.
La trappola della perfezione impedisce di scorgere la bellezza della normalità
Ho l’impressione che il grande inganno sia stato aderire a un’idea preconfezionata di perfezione. Ci è stato detto di sognare in grande, di fare progetti stratosferici. E, nella nostra immaginazione, abbiamo identificato il nostro progetto di vita grandioso con un’immagine idealizzata e illusoria e, proprio per questo, perfetta nella sua meticolosa precisione. Per ogni ambito della nostra esistenza abbiamo un chiaro disegno di come dovrebbe essere. Persino in amore, il nostro immaginario si è nutrito di film romantici, di storie tormentate con un finale principesco, di pretty women, di dichiarazioni struggenti e gesti eclatanti. Quando la vita reale si discosta dalle nostre aspettative, cosa facciamo? Cerchiamo di ricreare la letteratura, di ritornare all’immagine idealizzata e fuggiamo da tutto ciò che etichettiamo come normale. La normalità appartiene all’imperfezione. E viceversa.
Vedere la bellezza della normalità attraverso la gratitudine
Quando cerchiamo la perfezione nella vita di tutti i giorni e non la troviamo, sperimentiamo emozioni che ci fanno sentire frustrate e piombiamo nella più disperata infelicità. Prendere atto del fatto che la nostra vita non è sempre fantastica, sbalorditiva, idilliaca apre la strada per porre attenzione alle piccole cose che diamo per scontate e per apprezzarne l’importanza. La vera sfida è innamorarci di una vita che consideriamo grigia, portarne alla luce i colori senza dover ricorrere a trucchi da illusionisti. La vera sfida è trovare la bellezza nella normalità. La vita di tutti giorni è la custode delle piccole cose. Per dare valore a ciò che passa inosservato è molto utile praticare la gratitudine. Essere contente di ciò che abbiamo, della nostra vita per com’è in questo momento, scardina la visione illusoria della perfezione e ci fa aderire alla nostra realtà.
Vedere la bellezza della normalità significa accontentarsi?
Vedere la bellezza nell’ordinario, nelle cose normali ed essere contente per ciò che abbiamo è ben diverso dall’accontentarsi. Nulla ci vieta di avere obiettivi grandi e ambiziosi e di impegnarci per raggiungerli. Il punto è di godersi la propria vita in ogni momento, in ogni fase che attraversiamo. E non aspettando il giorno in cui saremo/faremo/andremo/realizzeremo…ma proprio adesso. Lasciar andare il traguardo della perfezione implica dare una possibilità alla realtà e alle persone che ci stanno intorno, vederle per come sono — e non per l’idea che ne abbiamo — e permettere loro di stupirci. Essere aperte a qualunque cosa avvenga sul nostro cammino, anche se non era previsto dal piano che abbiamo per la nostra vita, concentrarci sulla nostra realtà per com’è adesso ci consente di accogliere doni che altrimenti non noteremmo, impegnate come siamo a rincorrere la nostra idea di futuro.
Sei in grado di vedere la bellezza nella normalità della tua vita?
Se anche tu tendi a fare letteratura o se, ogni tanto, fatichi con una vita che ti appare livida e banale, decisamente troppo ordinaria, puoi farti cinque domande che stimolino una riflessione e ti aiutino a cambiare prospettiva:
- Qual è la tua idea di vita ideale?
- In che modo la tua vita in questo momento è diversa dalla vita che vorresti?
- Quali sono gli aspetti della tua vita che ti fanno sentire soddisfatta?
- Ti ricordi un episodio in cui un evento inaspettato e non programmato ti ha portato gioia?
- Sapresti elencare 3 elementi della tua realtà quotidiana che ti rendono felice?
Rispondi a queste domande, rivaluta episodi a cui non avevi nemmeno fatto caso, presta attenzione a ciò che accade intorno a te, guarda tutto come se vedessi ogni piccolo dettaglio per la prima volta, riconosci la bellezza nel tuo ambiente, assorbila, nutritene. La normalità può essere davvero sorprendente e piena di piccoli tesori da dissotterrare. Buona scoperta!
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